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Rubrica realizzata con la collaborazione dei nostri consulenti legali
Avvocati Ezio Torrella e Eleonora Conforti del foro di Bologna
50 ANNI DI ADVOCACY A TUTELA DEI DIRITTI DEI MALATI E DELLE PERSONE CON DISABILITA'
Sabato 17 dicembre 2023
Si ringrazia S.M.I.P.S. e il Prof. Francesco Domenico Capizzi per l'ospitalità presso la loro sede, tutti i partecipanti e i relatori intervenuti:
- il nostro Presidente Prof. Carlo Hanau;
- la consigliera del Comune di Bologna, dott.ssa Cristina Ceretti con delega alla famiglia, disabilità e sussidiarietà circolare;
- Annalisa Bini che, sulla base della documentazione fornita dall'associazione, ha ricostruito 50 anni di storia a tutela dei malati e delle persone fragili;
- Franco Malagrinò, già Segretario Regionale di Cittadinanzattiva Emilia-Romagna e Luciano Magli, ex Presidente del Centro diritti per il Malato, che hanno condiviso le loro esperienze trascorse nel mondo dell'associazionismo;
- i nostri consulenti legali, Avv.ti Ezio Torrella ed Eleonora Conforti, che ci hanno spiegato come e quando si parla di responsabilità medica e come tutelare i propri diritti.
Alla prossima!
16.09.2024 il danno dei congiunti del macroleso
Il responsabile di un'azione illecita, che ha causato, ad esempio un danno da malasanità, da incidente stradale o infortunio sul lavoro, è tenuto per legge a risarcire integralmente i danni sia alla vittima primaria, cioè colui che ha subito le lesioni, sia ai suoi familiari.
Tale assunto è ormai consolidato in giurisprudenza dal 2022. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno espresso il seguente principio di diritto: “ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a seguito di un fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire ‘iure proprio’ contro il responsabile”.
Ciò significa che chi ha subito la lesione della propria relazione familiare è legittimato ad agire in giudizio per vedersi riconoscere il proprio diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, in termini di peggioramento della qualità della propria vita e di sofferenza morale patita e patiendi.
La ratio sottesa è costituita dalla lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili. In tal senso, “l’interesse fatto valere sarà infatti quello all’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana, nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia e la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2,29 e 30 Cost.” (sul punto, Cassazione Civile, sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828).
Per ottenere il risarcimento dei danni da parte dei congiunti del macroleso occorre, dunque, in primo luogo, provare l’esistenza di una relazione con il soggetto che ha subito direttamente il fatto illecito, sia essa fondata su un vincolo familiare, sia una situazione di fatto qualificata, come, per esempio, la convivenza more uxorio. Il rapporto di stretta parentela esistente fra la vittima ed i suoi familiari fa, infatti, ritenere, secondo un criterio di normalità sociale, che essi soffrano per le gravissime lesioni riportate dal loro prossimo congiunto (in tal senso, Cass. Civ. 11212/2019; Cass.Civ. 7748/2020).
Al fine di scoraggiare il proliferare di infondate pretese risarcitorie, la casistica giurisprudenziale, sia di merito che di legittimità, in materia di danno da lesioni del congiunto fa poi riferimento a casi di macrolesioni che per loro natura comportano un danno importante per i soggetti che le patiscono, incidendo in maniera rilevante sulla loro qualità di vita intesa nel senso più ampio del termine.
La convivenza tra i congiunti non è invece un requisito essenziale, né può essere indice del legame affettivo, ma costituisce al più un criterio che può aumentare la quantificazione del danno.
La Suprema Corte ha infatti censurato la sentenza che aveva negato ai genitori della vittima principale il risarcimento esclusivamente in quanto non essendo conviventi della vittima non avrebbero risentito per la sua invalidità. Tale visione – secondo la Suprema Corte – è totalmente parziale ed esclude aprioristicamente e ingiustamente ogni presunzione di un nesso affettivo tra congiunti. Nell’atto viene infatti riportato l’erroneità della sentenza precedente che “ha negato, tout court, la risarcibilità del danno non patrimoniale in capo ai genitori in quanto non conviventi, laddove da questa mera circostanza di fatto, comunissima nella vita delle persone adulte che formano propri nuclei familiari autonomi, e tuttavia non direttamente incidente sulla permanenza dei legami affettivi, ha tratto la conclusione che essi, in quanto non conviventi, non potessero ritenersi significativamente colpiti dai gravi danni alla persona e dalle sofferenze patiti dal figlio, invece di presumere, sulla base dello stretto legame parentale, l’esistenza di un danno patrimoniale apprezzabile in termini di sofferenza per il dolore altrui, salvo prova contraria sulla inesistenza di un reale rapporto affettivo. La mancata convivenza, per i genitori non può, di per sé, eliminarne la sofferenza morale pura” (Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2023, n. 13540).
- La quantificazione di tali danni -
Il danno subito dai familiari è di natura prettamente morale e rientra nella specifica classificazione del danno non patrimoniale, salvo che le lesioni patite dal congiunto non abbiano procurato una malattia diretta, come nel caso di una madre che cada in forte depressione a seguito del grave incidente occorso al figlio, nel quale si profila un ulteriore danno cd. “biologico” da quantificare con relazione medico-legale.
Per diversi anni i giudici hanno quantificato tale danno con molta discrezionalità creando notevoli disparità di trattamento tra casi simili. Sul solco delle tabelle milanesi e romane, con le quali si sono adottati criteri univoci in tutta Italia per la quantificazione del danno biologico della vittima primaria, nel 2019 il Tribunale di Roma ha adottato dei nuovi criteri per la quantificazione dei danni ai congiunti del macroleso, attraverso un quadro dedicato alla liquidazione dei danni, la cui validità è stata confermata dalla Suprema Corte di cassazione (in tal senso Cass. Civ. 13540/2023). Al contrario, le ultime Tabelle del Tribunale di Milano non riportano una tabella ad hoc per la liquidazione del danno da grave lesione del rapporto parentale, ritenendo che il Giudice possa valutare di “avvalersi della tabella sul danno da perdita del rapporto parentale corrispondente al tipo di rapporto parentale gravemente leso, opportunamente adattando e calibrando la liquidazione al caso concreto, per quanto dedotto e provato”.
Il tema del danno ai congiunti del macroleso è stato oggetto di un processo presso il Tribunale di Sondrio, con esito favorevole per i ricorrenti.
La vicenda era relativa ad un infortunio sul lavoro subito da un padre di famiglia, con moglie e due figli piccoli, che aveva perso una gamba. Questo evento aveva sconvolto la vita quotidiana di tutti i familiari conviventi, che invocavano un danno iure proprio: la moglie - impegnata nell’assistenza al marito, spesso ricoverato in ospedale – e i due figli piccoli, rispettivamente di anni 6 e 9.
L’evento traumatico ha comprensibilmente sconvolto l’esistenza dell’intera famiglia. In particolare, nonostante la vicinanza e l’affetto di familiari ed amici, i due piccoli sviluppavano una forte ansia a causa della mancanza delle figure genitoriali, assenti a causa dei frequenti ricoveri in ospedale del padre, assistito dalla moglie. Veniva, poi, documentato come il più piccolo avesse sviluppato problemi cognitivi e di apprendimento. Oltre al trauma dell’infortunio occorso al padre, i ragazzi hanno avuto un’infanzia priva della spensieratezza tipica di quella fase della vita. Sono mancati i giochi con il padre e la condivisione di esperienze tra figli e genitori, portandoli a crescere chiusi in se stessi.
Per questi motivi veniva chiesto un risarcimento, a titolo di danno non patrimoniale, per la moglie di € 120.000, per il figlio più piccolo di € 80.000 e per il maggiore di € 60.000.
Il Tribunale accoglieva integralmente la domanda, riconoscendo alla moglie e ai figli il diritto al risarcimento, indipendentemente dagli assegni versati dall’INAIL, a titolo di danno non patrimoniale subito dagli stessi, proprio sulla scorta delle circostanze dedotte e documentate durante la causa.
25.02.2024 Cartella clinica: La prima copia richiesta dal paziente deve essere concessa gratuitamente.
La Corte di Giustizia Europea (EU:2023:811, C-307/22 del 26/10/2023) ha deciso che il paziente, il quale chiede il rilascio della cartella clinica ad un medico o ad un ente ospedaliero, non debba sostenere alcuna spesa, con riferimento a una controversia sorta in Germania.
Corte di giustizia dell'Unione Europea Prima Sezione Sentenza 26 ottobre 2023
Qui potete trovare la sentenza della Corte di Giustizia Europea in forma completa (clicca qui).
20.10.2021 DIRITTO AL RILASCIO DELLE REGISTRAZIONI DELLE TELEFONATE AL 118
Come comportarsi se l’Azienda Sanitaria nega il rilascio dei files audio relativi a un intervento del 118?
Ci si può rivolgere al Giudice, assistiti da un legale, chiedendo l’emissione di un’ingiunzione di consegna: in tal senso si è pronunciato il Tribunale di Torino emettendo il decreto ingiuntivo n. 5285/2020.
La vicenda trae origine dal decesso di una signora che, nonostante i soccorsi prestati dal 118, moriva per arresto cardiaco, verosimilmente determinato da un infarto.
Il vedovo, volendo verificare che alla moglie fosse stata fornita adeguata e tempestiva assistenza, avendo dovuto più volte sollecitare i soccorsi, chiedeva all’Azienda Sanitaria competente di ricevere, oltre alla scheda di intervento del 118 e al tracciato ECG, anche tutti i file audio delle chiamate effettuate al 118 e di quelle tra equipaggio, centrale operativa e/o strutture sanitarie.
L’Azienda Sanitaria, dopo ampia corrispondenza, accettava di fornire unicamente quello della primissima telefonata per richiesta di soccorso, ma non delle successive.
Ritenendo di avere diritto di accedere a tali files, per poter procedere a una valutazione della responsabilità medica, il marito promuoveva quindi procedimento monitorio avanti al Tribunale di Torino chiedendo la consegna di tali files. L’art. 633 del codice di procedura civile prevede, infatti, la possibilità di pronunciare ingiunzione di consegna a favore “di chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata”, e la giurisprudenza ammette il ricorso a tale procedimento per la consegna anche di files elettronici, considerati quali “cose mobili”.
Il diritto del ricorrente era fondato: infatti, l’art. 4 della legge Gelli-Bianco (l. n. 24/2017), rubricato “Trasparenza dei dati“, al comma 2, prevede espressamente che: “La direzione sanitaria della struttura pubblica o privata, entro sette giorni dalla presentazione della richiesta da parte degli interessati aventi diritto […] fornisce la documentazione sanitaria disponibile relativa al paziente, preferibilmente in formato elettronico; le eventuali integrazioni sono fornite, in ogni caso, entro il termine massimo di trenta giorni dalla presentazione della suddetta richiesta […]“.
Il Tribunale di Torino, verificata la propria competenza e il rapporto di coniugio con la de cuius, accoglieva, quindi, la richiesta, ingiungendo all’Azienda Sanitaria di consegnare sia i files audio, sia il registro delle chiamate di emergenza intercorse per l’intervento di soccorso, con annotazione dell’orario di ciascuna chiamata.
23.2.2021 AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E VACCINAZIONE COVID PER PERSONE RICOVERATE IN RSA: ISTRUZIONI PRATICHE
In relazione alla campagna vaccinale anti Covid-19 in caso di persona assistita da amministratore di sostegno occorre effettuare una prima distinzione:
Se il beneficiario è residente presso una Struttura sanitaria assistita (RSA o CRA)
In tutti gli altri casi (su questi torneremo in un successivo articolo).
Per la persona residente in Struttura, il Decreto Legge 1/21 (in vigore dal 06.01.2021) ha introdotto norme speciali e derogatorie per “i soggetti incapaci ricoverati presso strutture sanitarie assistite”, al chiaro fine di velocizzare le procedure di vaccinazione e nel contempo far fronte alle necessità delle persone ricoverate ed incapaci di autodeterminarsi.
Più in particolare, l’art. 5 del DL 1/2021 differenzia due ipotesi:
1° caso) qualora la persona ricoverata e ‘incapace’ sia già assistita da amministratore di sostegno, ovvero abbia nominato un fiduciario. Costoro esprimono il consenso al trattamento sanitario vaccinale secondo quanto già previsto dall'art.3 della Legge n.219 del 2017, cioè tenendo conto delle volontà del beneficiario e a tutela della sua salute psicofisica nel pieno rispetto della sua dignità;
L’amministratore di sostegno presterà il consenso informato scritto:
a) in conformità alla volontà dell’interessato – anticipata o attuale –, o, in difetto, in conformità alla volontà espressa dal coniuge, da persona parte di unione civile o stabilmente convivente o, in difetto, dal parente più prossimo entro il terzo grado e, in ogni caso, dopo avere accertato che il trattamento vaccinale sia idoneo ad assicurare la migliore tutela della salute dell’interessato con certificazione medica pubblica;
b) qualora l’interessato non sia in grado di esprimersi (e non si sia espresso in passato) e non vi siano nemmeno parenti prossimi sopra indicati, l’ADS potrà firmare il consenso dopo avere accertato con certificazione medica pubblica che il trattamento vaccinale è idoneo ad assicurare la migliore tutela della salute dell’interessato.
Si evidenzia come - nell’indicare l’amministratore di sostegno – la norma non faccia alcun riferimento all’oggetto dei suoi poteri, così accomunando sia ADS già con delega sanitaria, sia ADS con soli poteri in ambito patrimoniale.
2° caso) qualora la persona ricoverata e ‘incapace’ non sia assistita da alcuna delle figure sopra indicate ovvero queste non siano reperibili entro 48 ore, la qualità di amministratore di sostegno – al solo fine della prestazione del consenso al trattamento vaccinale covid-19 – è attribuita ex lege al direttore sanitario o, in difetto, al responsabile medico della residenza sanitaria assistita o dell'analoga struttura comunque denominata, in cui la persona incapace è ricoverata, o in mancanza al Direttore Sanitario della Asl territorialmente competente sulla struttura stessa (o ad un suo delegato), soggetto che assume la funzione di amministratore di sostegno.
Nel caso in cui non si possa verificare la volontà dell’interessato – anticipata o attuale – e in assenza di coniuge, di persona parte di unione civile o stabilmente convivente o di parenti entro il terzo grado, il Direttore Sanitario (o i soggetti sopra indicati) firmerà il consenso informandone immediatamente il Giudice Tutelare e allegando la seguente documentazione:
1. attestazione comprovante le condizioni di incapacità in cui versa la persona ricoverata, tali da renderlo incapace di esprimere la propria volontà in ordine al trattamento vaccinale;
2. se sia già stato nominato un Ads, la sua irreperibilità per 48 ore;
3. in ogni caso la mancanza di parenti dell’interessato con cui condividere la scelta in ordine al trattamento sanitario e la mancanza di dat (disposizioni anticipate di trattamento redatte dal soggetto);
4. in ogni caso, l’idoneità del vaccino COVID-19 ad assicurare la migliore tutela della salute della persona ricoverata, attestata da documentazione medica pubblica.
Il Giudice Tutelare, disposti gli eventuali accertamenti, entro 48 ore convaliderà il consenso espresso o negherà la convalida dandone comunicazione al direttore sanitario della struttura e all’interessato. Qualora non pervenga convalida entro 96 ore, il consenso così espresso acquisita definitiva efficacia e si potrà procedere alla vaccinazione.
N.B. A questo link potete trovare le disposizioni organizzative previste dal Tribunale di Bologna. Invitiamo gli interessati ad informarsi per le modalità operative in vigore presso il Giudice Tutelare di riferimento.
https://www.tribunale.bologna.giustizia.it/documents/642573/6010481/Provv.+3-2021+-+Manifestazione+del+consenso+al+vaccino+anti+covid19+-+individuazione+pec.+pdf.pdf/379bf288-f11e-4bda-9873-3b65b7e19300
12.09.2019 UN NUOVO PUNTO DI ASCOLTO PRESSO L'OSPEDALE DI CONA (FERRARA)
Su "La Nuova Ferrara" si parla dell'apertura del nostro nuovo punto di ascolto presso l'Ospedale di Cona (Ferrara), attivo tutti i martedì dalle 8.30 alle 10.30. Un nuovo punto di riferimento sul territorio grazie ai nostri validi volontari!
11.09.2019 LISTE DI ATTESA PER PRESTAZIONI SANITARIE: IL PIANO NAZIONALE DI GOVERNO 2019-2021
Il tempo entro cui eseguire una prestazione dipende dal grado di urgenza che le è stato attribuito.
Il Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa (PNGLA) 2019-2021 rimarca l’obbligo di indicare chiaramente su tutte le prescrizioni il quesito diagnostico e, per le prestazioni in primo accesso, la classe di priorità.
Il quesito diagnostico descrive il problema di salute che motiva la richiesta da parte del medico di effettuare la prestazione.
La classe di priorità definisce i tempi di accesso alle prestazioni sanitarie.
Di seguito riportiamo le classi di priorità previste dal Piano Nazionale delle Liste di Attesa PNGLA 2019-2021
Per le prestazioni di specialistica ambulatoriale sono:
Classe U (Urgente), prestazioni da eseguire nel più breve tempo possibile e, comunque, entro 72 ore;
Classe B (Breve), prestazioni da eseguire entro 10 giorni;
Classe D (Differibile), prestazioni da eseguire entro 30 giorni per le visite / entro 60 giorni per gli accertamenti diagnostici;
Classe P (Programmata), prestazioni da eseguire entro 120 giorni (dal 1 gennaio 2020). Fino al 31 dicembre la classe P sarà di 180 giorni.
Per le prestazioni di ricovero le classi di priorità sono:
Classe A: ricovero entro 30 giorni per i casi clinici che potenzialmente possono aggravarsi rapidamente al punto da diventare emergenti o, comunque, da recare grave pregiudizio alla prognosi;
Classe B: ricovero entro 60 giorni per i casi clinici che presentano intenso dolore, o gravi disfunzioni, o grave disabilità, ma che non manifestano la tendenza ad aggravarsi rapidamente al punto da diventare emergenti, né possono per l’attesa ricevere grave pregiudizio alla prognosi;
Classe C: ricovero entro 180 giorni per i casi clinici che presentano minimo dolore, disfunzione o disabilità e non manifestano tendenza ad aggravarsi, né possono per l’attesa ricevere grave pregiudizio alla prognosi;
Classe D: ricovero senza attesa massima definita per i casi clinici che non causano alcun dolore, disfunzione o disabilità. Questi casi devono comunque essere effettuati almeno entro 12 mesi.
Al momento della prenotazione verrà indicata la prima data utile. Qualora il cittadino rifiuti la prima proposta, esce dall’ambito di garanzia del rispetto dei tempi di attesa previsto dalla classe di priorità assegnata.
E' importante sapere che se il cittadino vuole procedere con una prenotazione presso una struttura sanitaria specifica, i tempi di attesa potrebbero essere più lunghi di quelli previsti, in quanto il SSN deve garantire i tempi indicati nella prima Struttura disponibile.
Il blocco delle liste di attesa (o le c.d. agende chiuse) è VIETATO dalla Legge. Qualora il cittadino si trovi di fronte a tale ipotesi, suggeriamo di inviare un formale reclamo all’Azienda Sanitaria coinvolta, all’Assessorato alla Sanità della Regione (che deve vigilare sul punto) e per conoscenza alla nostra Organizzazione di Volontariato.
Al momento dell’inserimento in lista di attesa, devono essere comunicate al cittadino informazioni sul suo ricovero, sulla Classe di priorità e i relativi tempi massimi d’attesa, oltre alle indicazioni organizzative previste. Ciascun paziente può richiedere di prendere visione della sua posizione nella lista di attesa per il ricovero facendone opportuna richiesta alla Direzione Sanitaria o Direzione Medica Ospedaliera.
L'Associazione è disponibile a fornire supporto sul tema.
27.08.2019 RISARCIMENTO DEL DANNO IN CASO DI INFEZIONE CONTRATTA IN OSPEDALE
TRIBUNALE DI BOLOGNA, DOTT.SSA BENINI R.G. 8672/2018, ORDINANZA DEL 14/06/2019
Nel caso in esame il sig. X proponeva, a seguito di procedimento per ATP ex art. 696 bis c.p.c., ricorso ex 702-bis c.p.c. al fine di veder condannato l’Ospedale Y al risarcimento del danno da lui subìto a seguito di infezione contratta in occasione del ricovero e dell’intervento di riduzione e sintesi con placche e viti effettuato presso l’Ospedale convenuto.
Il CTU nominato nel procedimento per ATP aveva infatti confermato trattarsi "di infezioni ascrivibili a responsabilità della struttura e correlate evidentemente alla non perfetta asepsi", escludendo che le stesse potessero essere correlate al precedente trauma che aveva reso necessario il ricovero e l'intervento chirurgico.
Per quantificare il danno, il Giudice felsineo ha confermato le risultanze della CTU e, in ossequio all'orientamento della Cassazione, ha precisato che "in tema di responsabilità medica, allorché un paziente, già affetto da una situazione di compromissione dell'integrità fisica, sia sottoposto ad un intervento che, per la sua cattiva esecuzione, determini un esito di compromissione ulteriore rispetto alla percentuale che sarebbe comunque residuata anche in caso di ottimale esecuzione dell'intervento stesso, ai fini della liquidazione del danno con il sistema tabellare, deve assumersi come percentuale di invalidità quella effettivamente risultante, alla quale va sottratto quanto monetariamente indicato in tabella per la percentuale di invalidità comunque ineliminabile, e perciò non riconducibile alla responsabilità del sanitario". Si tratta cioè del c.d. danno iatrogeno, calcolato in maniera differenziale tra la percentuale di danno pregressa e l'aggravamento imputabile alla Struttura Sanitaria (nel caso di specie un 9% di invalidità permanente calcolato sulla differenza tra il pregresso 16% ed il 25% di I.P.).
14.06.2019 LIQUIDATA IN VIA EQUITATIVA LA PERDITA DI CHANCES DI SOPRAVVIVENZA DI 3 MESI
TRIBUNALE DI BOLOGNA, DOTT.SSA ARCERI, 21/05/2018
Nel caso in esame, gli eredi del sig. S. chiedevano il risarcimento dei danni alla Casa di Cura che aveva mancato di prescrivere al loro congiunto approfondimenti a seguito di una colonscopia con esito non concludente, atteso che, persistendo il dolore e rivolgendosi ad altra Struttura Sanitaria, circa sei mesi dopo si era evidenziata la presenza di neoplasia al colon con metastasi massive che conduceva il paziente al decesso.
A seguito di consulenza tecnica d’ufficio, i CTU, accertato che la patologia avrebbe in ogni caso condotto al decesso il paziente, rilevavano come l’omessa diagnosi iniziale avesse causato un ritardo diagnostico tale da provocare una perdita di chances di sopravvivenza di ulteriori 3 mesi di vita rispetto a quanto effettivamente vissuto.
Ebbene, con una interessante pronuncia, il Tribunale Bolognese ricorda che nell’ambito dei giudizi in materia di responsabilità professionale medica, in tutti i casi in cui in caso di inadempimento del medico, non sia possibile affermare che la prestazione omessa, errata o ritardata abbia causato, per esempio, la morte del paziente perché anche nel caso di tempestiva e corretta prestazione questa avrebbe avuto scarse possibilità di successo, potrà comunque valutarsi se per effetto di detto inadempimento, il paziente abbia perso delle chances, che statisticamente e concretamente, possedeva.
In tali casi, il bene offeso non è, pertanto, per carenza del rilievo di nesso causale, direttamente la vita o la salute ma la chance di sopravvivenza o di guarigione che assume la veste di vero e proprio bene giuridico.
E’ stato ormai da tempo evidenziato che la chance, o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione, onde la sua perdita, configura un danno concreto e attuale.
Nel caso di condotta omissiva del medico, perché si possa trasferire la problematica in ambito perdita di chance è necessario che:
- il bene vita o salute sia originariamente in pericolo;
- non sia raggiunta la prova della sussistenza del nesso causale tra condotta e carenza di risultato;
- sia accertata la colpa del medico e che sia comprovato il nesso causale tra condotta e perdita di chance all’insegna del criterio del "più probabile che non", nel senso che la ricorrenza del nesso causale può affermarsi allorché il giudice accerti che quella possibilità si sarebbe verificata "più probabilmente che non" (Cass. 27 marzo 2014, n. 7195), tenendo a mente che sarà unicamente l’entità del risarcimento a dover essere commisurata alla maggiore o minore possibilità di ottenere il risultato sperato.
Nel caso in esame, il Tribunale di Bologna ha ritenuto che il sig. S. abbia subito un danno da perdita di chance di conservare, durante il decorso, una migliore qualità della vita, nonché un danno morale per il patema d’animo patito a causa del ritardo diagnostico accertato in giudizio. Danno poi trasferito e risarcito alle eredi che hanno promosso il giudizio e quantificato in € 30.000,00 (€ 10.000 per ciascun mese di sopravvivenza pregiudicato).
Quanto al danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale lamentato dai congiunti (moglie e figli) del paziente, il Tribunale, rilevata l’esistenza del legame familiare, la convivenza e l’apparenza di un forte vincolo affettivo, allegata e documentata dalle parti, ha condannato la Casa di Cura a pagare l'ulteriore somma di 12.000 € per ciascuna parte, al fine di ristorare loro i tre mesi di vicinanza perduti.
11.01.2018 IN CASO DI COMPLICANZA IATROGENA, ONERE DELLA PROVA LIBERATORIA A CARICO DEL MEDICO
CORTE DI CASSAZIONE, 16/12/2016 N. 24074
Nel caso in esame, relativo ad una lesione iatrogena della via biliare principale occorsa a seguito di una manovra laparoscopica, la parte ricorrente ha correttamente impugnato la sentenza di appello censurando l’omesso esame in ordine a specifici fatti, discussi tra le parti, ma rimasti irrisolti dalla consulenza tecnica d’ufficio. Infatti, la ricorrente sostiene che l’affermazione del CTU, pedissequamente ripresa dal Giudice di appello nella motivazione, secondo cui non sussiste responsabilità a carico del personale medico operante, trattandosi di “mera complicanza statisticamente rilevata nella letteratura scientifica”, non giustifichi la categorizzazione di detta lesione come conseguenza inevitabile del trattamento laparoscopico applicato, anche quando correttamente eseguito.
La Suprema Corte, aderendo alla tesi della ricorrente, enuncia il seguente principio: “in caso di prestazione medico-chirurgica di “routine”, spetta al professionista superare la presunzione che le “complicanze” siano state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale o da imperizia, dimostrando che siano state, invece, prodotte da un evento imprevisto ed imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento. Ne consegue che il giudice, al fine di escludere la responsabilità del medico nella suddetta ipotesi, non può limitarsi a rilevare l’accertata insorgenza di “complicanze operatorie”, ma deve, altresì, verificare la loro imprevedibilità ed inevitabilità, nonché l’insussistenza del nesso causale tra la tecnica operatoria prescelta e l’insorgenza delle predette complicanze, unitamente alla adeguatezza delle tecniche scelte dal chirurgo per porvi rimedio”.
18.12.2017 BIOTESTAMENTO: UNA LEGGE DI CIVILTA' A TUTELA DEL MALATO
Con 180 voti a favore e 71 contrari, il 14 dicembre 2017, la legge sul "Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento" (biotestamento) è finalmente arrivata alla sua conclusione con la definitiva approvazione. La sua relatrice, la deputata alla camera per il Partito Democratico Donata Lenzi, così commenta: "questa legge non toglie nulla in termini di assistenza e di cura, anzi ribadisce il diritto alle cure e alla cure palliative, ma dà a ogni malato il diritto di essere fino all'ultimo "persona" e non solo "paziente” (...) Occorreva una legge perché non si poteva lasciare sola la Magistratura nelle decisioni, né i medici a loro volta soli, davanti al magistrato. Occorreva una legge per promuovere e sostenere il cambiamento culturale richiesto ai medici dalla medicina e dalla società di oggi: valutare l'appropriatezza di una scelta clinica, richiede scienza ma vi rientrano anche le intenzioni e i desideri del paziente".
Ed infatti, l'articolo 1 in materia di consenso informato prevede che "Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale".
E nel sancire il divieto di ostinarsi irragionevolmente nella somministrazione delle cure per i pazienti con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, vengono introdotte le Disposizioni anticipate di trattamento (che dovranno essere redatte per atto pubblico, scrittura privata autenticata o scrittura consegnata personalmente presso l’ufficio dello stato civile del Comune di residenza). L’articolo 4 afferma che “ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
Torneremo sull’argomento al fine di illustrare più nel dettaglio le modalità operative della Legge.
14.11.2017 SE LA CARTELLA CLINICA E' INCOMPLETA L'ONERE PROBATORIO RICADE SULLA STRUTTURA SANITARIA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III, 31/03/2016 N. 6209
La vicenda in esame ruota intorno alla irregolare tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari in un caso relativo ad un parto, a seguito del quale la neonata aveva subito gravissimi danni. La Corte d’Appello, che prima si era espressa, aveva presunto che, non essendoci particolari annotazioni nelle lacune temporali presenti in cartella, non fossero accaduti eventi rilevanti.
Ribaltando la precedente pronuncia, i giudici della Suprema Corte hanno invece ritenuto che, essendo i medici tenuti al rispetto di tutte le regole e precauzioni che costituiscono la conoscenza della professione medica, tra cui la regolare tenuta della cartella clinica, le lacune lì presenti facessero presumere la mancata assistenza alla paziente. Alla struttura sanitaria, dunque, l’onere di provare il contrario, così come prescritto dalla natura contrattuale della responsabilità medica.
27.03.2017 COME TUTELARSI IN CASO DI LUNGHE LISTE D'ATTESA O LISTE BLOCCATE
E' noto che, spesso, i cittadini che hanno necessità di sottoporsi ad esami di laboratorio, a esami di diagnostica strumentale o a interventi chirurgici non urgenti, sono costretti a ricorrere a strutture private, con notevole aggravio di costi.
In realtà, con il D.lgs 124/1998 lo Stato ha fissato dei principi da seguire per la gestione delle liste d'attesa da parte delle regioni. Prima di tutto esse devono stabilire i criteri secondo i quali i direttori generali delle aziende unità sanitarie locali ed ospedaliere determinano il tempo massimo che può intercorrere tra la richiesta di una prestazione e la sua erogazione. In secondo luogo devono “assicurare all'assistito la effettiva possibilità di vedersi garantita l'erogazione delle prestazioni nell'ambito delle strutture pubbliche attraverso interventi di razionalizzazione della domanda, nonché interventi tesi ad aumentare i tempi di effettivo utilizzo delle apparecchiature e delle strutture, ad incrementare la capacità di offerta delle aziende eventualmente attraverso il ricorso all'attività libero-professionale intramuraria, ovvero a forme di remunerazione legate al risultato, anche ad integrazione di quanto già previsto dai vigenti accordi nazionali di lavoro, nonché a garantire l'effettiva corresponsabilizzazione di sanitari dipendenti e convenzionati”.
A ciò consegue che la prestazione sanitaria non erogata entro determinati termini dà diritto a ricorrere a prestazioni libero-professionali chiedendo il rimborso delle spese sostenute all'Azienda Sanitaria e il cittadino dovrà accollarsi il solo il costo del ticket (in tal senso si è espresso il Tribunale di Lecce con la sentenza 5448/2015).
Se, quindi, l'utente dovesse scontrarsi con una lista d'attesa bloccata o con tempistiche eccessivamente lunghe, dovrà inviare una richiesta per usufruire della prestazione in regime di attività libero-professionale allegando la richiesta di prenotazione e il riscontro del CUP. In difetto di riscontro, potrà procedere alla prenotazione e chiedere successivamente il rimborso delle spese sostenute.
La nostra associazione resta a disposizione per aiutare gli utenti nella compilazione delle istanze.
8.11.2016 LA CLAUSOLA CLAIMS MADE AL VAGLIO DELLE SEZIONI UNITE
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE UNITE, 6/5/2016 N. 9140
Le Sezioni Unite si pronunciano per la prima volta sul tema della clausola claims made nei contratti di assicurazione della responsabilità civile, componendo un contrasto insorto in ordine alla possibile nullità della clausola.
Spesso anche nelle controversie in tema di responsabilità medica, la Compagnia di Assicurazione solleva l'inoperatività della polizza, rischiando di fatto di lasciare a carico della struttura sanitaria o del professionista l'eventuale risarcimento danni in favore del paziente.
Innanzitutto cosa significa claims made? Con una polizza claims made il contraente avrà copertura assicurativa anche senza essere stato assicurato al momento della commissione dell'errore, ma purché sia assicurato al momento della richiesta di risarcimento danni. Si parla di claims made pura quando ciò si verifica senza limitazioni temporali di retroattività e di claims made impura o mista quando ciò venga circoscritto entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati.
Ebbene, la Suprema Corte escludendo che tale clausola possa qualificarsi come vessatoria, definisce la claims made come clausola atipica che dovrà essere sottoposta a giudizio di meritevolezza da parte del Giudice di merito, con l'indicazione che tale giudizio andrà per lo più risolto positivamente nel caso di claims made pura, mentre andrà verificato caso per caso ove ricorra una claims impura o mista. La Corte in particolare definisce negativamente quella clausola che subordina la copertura alla circostanza che tanto l'evento dannoso quanto la richiesta di risarcimento danni debbano verificarsi nel corso del periodo assicurativo.
4.07.2016 IL SANITARIO CHE OPERA IN EQUIPE È RESPONSABILE PER L’ERRORE RICONOSCIBILE COMMESSO DAL COLLEGA
TRIBUNALE DI BOLOGNA, DOTT. IOVINO, 14/09/2015, N. 2650
La sentenza in esame, dopo aver ribadito la responsabilità della Casa di Cura anche per l’operato del medico non dipendente, affronta il tema della responsabilità d’equipe.
L’attività chirurgica svolta in tale modalità si caratterizza per lo scopo comune ed unitario cui sono dirette le mansioni di ciascun componente. Di conseguenza, il medico che vi opera risponde anche dell’errore commesso dal collega nelle fasi antecedenti o contestuali al suo specifico intervento, se evidente o comunque da lui riconoscibile.
Nel caso di specie, l’aiuto-chirurgo vantava la medesima specializzazione del capo equipe, nonché una competenza tecnica tale da rendere percettibile l’errore terapeutico in cui era incorso il superiore. Nonostante la subalternità, quindi, il sottoposto era tenuto a segnalare i propri sospetti ed eventualmente manifestare il suo dissenso.
19.02.2016 RESPONSABILITÀ DELL’ASL PER IL FATTO ILLECITO COMMESSO DAL MEDICO GENERICO
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III, 27/03/2015 N. 6243
La vicenda in esame veniva promossa al fine di accertare la responsabilità del medico di famiglia che, chiamato fin dal primo mattino con urgenza per i sintomi di ischemia cerebrale presentati dal B., interveniva solo nel tardo pomeriggio, così causando la paralisi della parte sinistra del corpo del paziente. Gli attori chiedevano quindi il risarcimento del danno subito sia al medico intervenuto che all’ASL, in solido tra loro.
La Corte di Cassazione, attraverso un’approfondita analisi delle normative succedutesi nel tempo, con un'interessante pronuncia giunge ad affermare la responsabilità dell’ASL ex art. 1228 cod. civ. L’assistenza medico-generica, infatti, è “prestazione curativa che l'utente del S.S.N. ha diritto di ricevere secondo il livello stabilito dal piano sanitario nazionale (…) e, in questi termini, la ASL ha l'obbligo di erogare”.
Tale obbligazione ex lege viene adempiuta attraverso l’opera del medico convenzionato, che, in forza del rapporto di convenzionamento, pur non essendo parte del rapporto obbligatorio tra utente e Servizio Sanitario Nazionale, interviene nella fase esecutiva dell’obbligazione e, come tale, è soggetto al controllo dell’ASL ove renda una prestazione garantita dal S.S.N. stesso.
11.02.2016 LA PAROLA ALLE SEZIONI UNITE SUL DIRITTO A NON NASCERE SE NON SANI
CORTE DI CASSAZIONE, SS. UU., 22/12/2015 N. 25767
La decisione in epigrafe muove dalla richiesta di risarcimento danni avanzata dai genitori per conto della figlia minorenne, nata con la sindrome di Down, a cui non sarebbe stato garantito il c.d. diritto a non nascere se non sano a causa della mancata diagnosi della patologia durante la gravidanza e, di conseguenza, la mancata possibilità per la madre di abortire una volta trascorsi novanta giorni dal concepimento.
Le Sezioni Unite, alle quali la causa è stata assegnata a seguito di rimessione effettuata dalla terza sezione civile, hanno dovuto affrontare due problemi: da un lato la possibilità di ammettere la legittimazione ad agire ad un soggetto che, al momento del verificarsi del danno, non esisteva ancora e, dall’altro, la possibilità di riconoscere tutela giuridica al “diritto a non nascere”.
Sotto il primo profilo, sulla scorta di quelle norme che riconoscono tutela giuridica al concepito, è stata riconosciuta la legittimazione a proporre domanda risarcitoria anche al soggetto che, al momento della condotta lesiva, non era ancora nato.
Quanto al secondo punto, i Giudici precisano che, poiché nel nostro ordinamento non esiste un diritto alla non vita, appare evidente che la vita di un bambino disabile non possa considerarsi un danno. Il ragionamento delle Sezioni Unite parte dalla considerazione che la presenza o meno di un danno è rilevabile esclusivamente tramite la comparazione di due situazioni soggettive omogenee, quali la qualità della vita prima e dopo l’evento lesivo.
Nel caso di specie, invece, riconoscere il diritto a non nascere significherebbe assumere la non vita come bene della vita tutelato e, quindi, risarcibile in caso di lesione. Il fatto stesso di nascere costituirebbe l’evento lesivo in questione. Tale è, per i Giudici, una contraddizione insuperabile.
11.01.2016 IL DANNO DA INFEZIONE NOSOCOMIALE
TRIBUNALE BOLOGNA, SEZ. III, 05/10/2011 N. 2792
La controversia in esame veniva promossa per accertare la responsabilità della struttura ospedaliera all’interno della quale l’attore, durante un’operazione al femore, aveva contratto un’infezione che lo aveva successivamente costretto all’amputazione dell’arto. Chiedeva quindi il risarcimento del danno, ritenendo che l’infezione contratta non fosse una mera complicanza dell’operazione subita, bensì una conseguenza della non adeguata igiene dell’ambiente chirurgico.
Il Giudice, nel confermare la tesi attorea, ha stabilito che l’ospedale, per andare esente da responsabilità medica, deve dimostrare non solo di aver adottato tutte le norme tecniche e precauzionali stabilite in precisi protocolli di adeguatezza ambientale della sala operatoria e di ricambio dell’aria, ma di aver particolarmente rafforzato le misure in esame laddove le condizioni di salute del paziente siano tali da far aumentare le probabilità di contrarre le suddette infezioni.
7.10.2015 IL DANNO TANATOLOGICO. LA PAROLA ALLE SEZIONI UNITE
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE, 22/07/2015 N. 15350
La sentenza in esame conclude (per il momento) l’ampia disputa dottrinaria e giurisprudenziale circa il risarcimento iure hereditatis del danno tanatologico, ovvero quel danno da perdita della vita immediatamente conseguente al momento della lesione.
L’intervento delle Sezioni Unite si era reso necessario dopo che la stessa Corte, con la sentenza n. 1361 del 23/01/2014, si era dichiarata favorevole a tale tipo di risarcimento, andando contro l’indirizzo prevalente. È, al contrario, uniformandosi a quest’ultimo che i giudici della Corte hanno definito la vicenda, negando il risarcimento del danno tanatologico ai congiunti del M., deceduto in un incidente stradale immediatamente dopo lo scontro.
La motivazione che sorregge tale conclusione così afferma: “poiché una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessario che sia rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l'irrisarcibilità deriva (…) dall’assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo”
16.07.2015 CONSENSO INFORMATO: IL RISULTATO POSITIVO DELL’OPERAZIONE NON COMPENSA LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III, 12/06/2015 N. 12205
Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione ribadisce che la mancata prestazione del consenso ad un intervento chirurgico, per quanto quest’ultimo si dimostri l’unica scelta possibile ex ante e risolutivo della patologia ex post, è una lesione al diritto di autodeterminazione, come tale risarcibile.
Il diritto al consenso informato, infatti, garantendo al paziente la possibilità sia di rifiutare la terapia sia di scegliere trattamenti medici diversi, eventualmente optando per quelli meno invasivi possibili, è da intendersi come diritto inviolabile della persona autonomo e indipendente rispetto a quello alla salute.
A nulla rileva, quindi, che l’intervento sia risolutivo, non potendo l’esito positivo essere una sorta di compensazione al danno subito.
30.04.2015 RESPONSABILITA' MEDICA E FATTORI NATURALI
TRIBUNALE BOLOGNA, DOTT. GIANNITI, 24/3/2015
La vicenda in esame veniva promossa al fine di accertare la responsabilità di una struttura di RSA che aveva ospitato la paziente, ricoverata in condizioni cliniche già precarie e successivamente deceduta.
Il Giudice attribuiva alla condotta omissiva del personale della struttura sanitaria una efficacia concausale (rispetto alle pregresse condizioni di salute) nel decesso, dichiarandone pertanto la responsabilità e condannando la convenuta al risarcimento dei danni.
In materia, il Giudice di merito si riporta a quell’orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. n.15991/2011) secondo cui, in tema di causalità materiale, qualora la produzione di un evento dannoso, possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa situazione patologica del danneggiato (la quale non sia legata all'anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), "il Giudice, accertata, sul piano della, causalità materiale (correttamente intesa come relazione tra la condotta e l'evento di danno, giusta disposto dell'articolo 1221 c.c., comma 1), l'efficienza etiologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui all'articolo 41 c.p. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione e l'omissione e l'evento), così ascrivendo l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita, può poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica…”.
Ciò significa che il Giudice dovrà accertare la responsabilità della Struttura sanitaria, tenendo però in considerazione, nella liquidazione del risarcimento, le pregresse condizioni cliniche della paziente e come queste abbiano inciso rispetto al decesso.
25.11.2014 MORTE DEL CONGIUNTO: ANCHE LA FIDANZATA NON CONVIVENTE PUO' INVOCARE UN DANNO
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, SEZ. IV, 10/11/2014 N. 46351
In tema di risarcibilità dei pregiudizi di natura non patrimoniale conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona, secondo la sentenza n. 46351/2014 della Corte Suprema il riferimento ai "prossimi congiunti" della vittima primaria, quali soggetti danneggiati iure proprio, deve essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l'ingiustizia del danno e a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (se e in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza), a prescindere dall'esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali.
17.07.2014 MANCATO CONSENSO, VIOLATO IL DIRITTO ALL'AUTODETERMINAZIONE
TRIBUNALE FIRENZE, 20/1/2014 N. 170
La vicenda sanitaria in esame veniva promossa dagli eredi di un paziente deceduto a seguito di una complicazione settica dopo un intervento di protesizzazione d'anca. I familiari contestavano alla struttura sanitaria la responsabilità sia per la grave forma di infezione, sia per non avere dato al paziente una adeguata informazione circa le conseguenze possibili dell'intervento al quale era stato sottoposto.
L'indagine istruttoria svolta in corso di causa escludeva che vi fosse responsabilità per l'ospedale con riguardo all'infezione contratta dal paziente, perché non era stato possibile determinare, con buon grado di certezza, che il batterio causa dell'infezione fosse collegabile a un difetto di sterilizzazione degli ambienti sanitari ai quali era stata esposta la vittima.
Tuttavia, il Tribunale rilevava che prima di sottoporre il paziente all'intervento di protesi d'anca era mancata da parte dei sanitari una adeguata informativa sui rischi Dell'operazione, tra i quali anche quello di possibili infezioni.
Il Giudice di merito conclude affermando che la struttura sanitaria che non informa in modo completo il paziente sull'intervento a cui deve essere sottoposto deve sempre risarcire il danno. E questo anche se non c'è un danno alla salute e anche se il paziente, pur correttamente informato, non si sarebbe sottratto all'intervento. In questo caso, infatti, viene comunque leso il diritto all'autodeterminazione del paziente.
30.05.2014 DANNO DA PERDITA DI CHANCES ANCHE SE IL MALE E' INCURABILE
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III, 23/5/2014 N. 11522
La sentenza indicata ha ad oggetto il caso di un paziente entrato in ospedale per un intervento di routine al ginocchio. Dagli esami preparatori, tra cui una radiografia toracica, emergeva la probabile presenza di una massa tumorale nei polmoni, tale da consigliare una TAC per approfondire la situazione. L'ortopedico, tuttavia, procedeva con l’operazione senza tenere minimamente in considerazione la cosa. L'intervento al ginocchio riusciva, quindi perfettamente, ma il paziente decedeva pochi mesi dopo.
Gli eredi intentavano causa, perdendo sia in primo che in secondo grado: i giudici rilevavano infatti che il paziente era affetto da una patologia non curabile e non operabile e che una diagnosi tempestiva non avrebbe modificato l’esito infausto.
La sentenza della Cassazione ribalta le decisione dei giudici di merito, affermando che, anche a fronte di un processo morboso ineluttabile, di fronte a cui la medicina nulla può, se non alleviare le sofferenze, la diagnosi non tempestiva cagiona comunque al paziente un danno alla propria persona fisica, per il semplice fatto di aver dovuto sopportare per intero le gravissime conseguenze dell’intero processo morboso, con le conseguenti sofferenze, che avrebbero potuto essere quanto meno alleviate.
La Suprema Corte ritiene, dunque, risarcibile non solo la perdita della possibilità di guarire (che forse nel caso in esame non sussisteva nemmeno), ma la perdita della possibilità di condurre una vita migliore.
7.05.2014 LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO DA PERDITA DEL RAPPORTO PARENTALE
CORTE DI CASSAZIONE, 9/5/2011 N. 10107
Con la sentenza indicata, la Cassazione affronta il tema del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale conseguente alla morte di un prossimo congiunto.
I giudici precisano che il suddetto danno dev’essere integralmente risarcito mediante l’applicazione di criteri di valutazione equitativa, rimessi alla prudente discrezionalità del giudice. Tali criteri devono tener conto dell’irreparabilità della perdita della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia. Tra l'altro, la Corte precisa che l’intensità del vincolo familiare può già di per sé costituire un utile elemento presuntivo su cui basare la ritenuta prova dell’esistenza del menzionato danno morale, in assenza di elementi contrari.
La relativa quantificazione va operata considerando tutti gli elementi della fattispecie e, in caso di ricorso a valori tabellari, che vanno in ogni caso esplicitati, effettuandone la necessaria personalizzazione, tenuto conto delle particolari circostanze di fatto del caso in esame.
La personalizzazione del danno subito garantisce, infatti, l'integralità del ristoro spettante al danneggiato.
8.04.2014 CONSENSO INFORMATO E AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
CONTRIBUTO DI DOTTRINA
Secondo la giurisprudenza corrente il consenso informato è un diritto della persona.
Nei casi in cui la persona non sia in grado di prestare il proprio consenso informato, il medico può intervenire solo nei limiti consentiti dallo stato di necessità (art. 54 c.p.).
Si verificano però situazioni in cui non ricorrono le condizioni dello stato di necessità ma per le quali sussistono comunque dei rischi per la salute del paziente ove non si intervenga con le cure e con gli interventi chirurgici opportuni. Si può in questi casi chiedere la nomina di un amministratore di sostegno (figura istituita dalla Legge 6 del 2004) che sarà autorizzato dal Giudice Tutelare a prestare l'eventuale consenso in nome e per conto del beneficiario, dopo aver acquisito dai medici le informazioni dovute.
Nei limiti del possibile i Tribunali sottolineano comunque la necessità di informare il beneficiario dell'intervento, tenendo conto, quando non vada contro il suo interesse, della sua volontà.
31.01.2014 DANNO DA NASCITA INDESIDERATA
CORTE DI CASSAZIONE, EST. TRAVAGLINO, 2/10/2012 N. 16754
Con una sentenza rivoluzionaria, la Suprema Corte affronta il caso di una donna, rimasta incinta della sua terza figlia femmina, la quale si rivolge ad un ginecologo onde eseguire tutti gli accertamenti necessari ad escludere patologie fetali, dichiarando altresì come la nascita di un bambino sano fosse l'imprescindibile condizione al proseguimento della sua gravidanza. Malgrado ciò, il sanitario ometteva accertamenti mirati e la bambina nasceva con la sindrome di down.
I giudici di legittimità affermano, pertanto, che, nel caso in cui il medico ometta di segnalare alla gestante l'esistenza di più efficaci test diagnostici prenatali rispetto a quello in concreto prescelto, impedendole così di accertare l'esistenza di una malformazione congenita del concepito, quest'ultimo, una volta venuto ad esistenza, ha diritto ad essere risarcito da parte del sanitario del danno consistente nell'essere nato non sano. Hanno diritto altresì al risarcimento i genitori e le due sorelle, quali terzi destinatari degli obblighi di protezione da cui il medico è gravato.
29.05.2013 RICONOSCIMENTO DEL DANNO ESISTENZIALE IN CASO DI INTERRUZIONE COLPOSA DI GRAVIDANZA
TRIBUNALE BOLOGNA, DOTT.SSA DRUDI, 6/3/2013
Il Tribunale di Bologna ha riconosciuto la responsabilità della Struttura Sanitaria per interruzione colposa della gravidanza della signora A. come accertato dalla CTU medico-legale svolta in corso di causa. Nel quantificare il risarcimento dovuto ai coniugi S. il Giudice ha riconosciuto a titolo di danno non patrimoniale, oltre al danno biologico, anche il danno morale-esistenziale determinato dalla "perdita del frutto del concepimento", seppur parametrato al modesto lasso di tempo intercorso dalla scoperta della gravidanza alla sua interruzione.
22.03.2013 ERRORE MEDICO: IL DANNO PATITO DAI CONGIUNTI DURANTE LA MALATTIA DEL FAMILIARE E' ESISTENZIALE
CORTE D'APPELLO ROMA, 15/1/2013
La vicenda trae origine dall'omessa diagnosi di un tumore, scambiato per un'ulcera gastrica, che portava al decesso del paziente.
La Corte ha dapprima ribadito che la Struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un paziente a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte dei propri dipendenti. Nel merito ha accolto la tesi dei familiari, ritenendo che la sofferenza dagli stessi patita durante l'agonia del congiunto costituisce un danno non patrimoniale, di tipo esistenziale, direttamente ricollegabile all'errore diagnostico e non al decesso del familiare.
Secondo i Giudici tale danno, conseguente alla lesione di diritti inviolabili della persona e della famiglia, protetti dagli artt. 2, 29 e 30 Cost, è certamente risarcibile e va liquidato in via equitativa.
La situazione ha certamente comportato una compromissione della "serenità personale cui ciascun soggetto ha diritto di godere nel proprio ambito familiare (oltre che lavorativo e relazionale), da risarcirsi quale “danno non patrimoniale (in senso lato "esistenziale") incidente sulla generica capacità di vita del soggetto” ed esercitabile direttamente nei confronti del soggetto responsabile allo scopo “di tutelare la persona che abbia subito ostacoli alla compiuta realizzazione della persona umana impedendo il permanere di una condizione di vita già goduta o peggiorando la condizione stessa”.
21.01.2013 LEGGE N. 189/2012 E RESPONSABILITA’ MEDICA: NULLA CAMBIA PER LA RESPONSABILITA’ CIVILE
TRIBUNALE VARESE, 26/11/2012, n. 1406
Si segnala una delle prime pronunce sull’interpretazione dell’innovazione prevista dall’art. 3 della Legge 189/2012, per cui “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
Il Tribunale di Varese ha ritenuto che la norma si applichi unicamente al settore penale ed al settore ove manchi un qualsiasi rapporto contrattuale fra medico e paziente.
3.10.2012 DANNO DA PERDITA PARENTALE - INCOMPLETEZZA DELLA CARTELLA CLINICA
TRIBUNALE DI BOLOGNA, DOTT.SSA DRUDI 16/3/2012, N. 812
Il sig. X, marito separato, ed i figli convenivano in giudizio la Struttura Sanitaria Y chiedendo il risarcimento dei danni tutti patiti iure proprio e iure hereditatis a seguito del decesso della Sig. A, rispettivamente ex moglie e madre degli attori, intervenuto in corso di intervento di isterectomia.
Il Tribunale adito affermava la responsabilità della convenuta per non avere eseguito alcuna indagine di approfondimento a fronte dell'aggravamento delle condizioni della paziente, né di aver attuato tempestivamente alcun intervento mirato alla formulazione di una diagnosi ed al conseguente trattamento.
Rilevava altresì che quando vi sia un'incertezza derivante dall'incompletezza della cartella clinica nel valutare la responsabilità dei sanitari, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che il medico (e per lui la struttura sanitaria da cui dipendeva), che abbia posto in essere un antecedente causale astrattamente idoneo a produrre il danno (nel caso omessa diagnosi e conseguenti interventi) deve comunque ritenersi responsabile, ove non provi che il danno è dipeso da fattori eccezionali ed imprevedibili.
Veniva, tuttavia, accolta unicamente la domanda risarcitoria, patrimoniale e non patrimoniale, avanzata dai figli. Al marito separato veniva riconosciuto unicamente un minimo danno patrimoniale avuto nel mantenimento dei figli, poiché i coiugi erano ormai separati da tempo e non avevano mantenuto vincoli affettivi.
27.09.2012 RESPONSABILITA' PROFESSIONALE DELL'ODONTOIATRA
TRIBUNALE DI BOLOGNA, 23/02/2009, N. 2734
La sig.ra Caia, conveniva in giudizio innanzi il Tribunale felsineo il dott. XXX, lamentando disturbi e disagi dalla stessa patiti a seguito della sostituzione di una protesi rimovibile all'arcata inferiore con una protesi fissa. Nel tempo, inoltre, il ponte applicato dall'odontoiatra aveva presentato anche una serie di microscheggiature della ceramica.
Il Giudice adito dichiarava la responsabilità dell'odontoiatra al risarcimento dei danni alla Sig.ra Caia, precisando che in materia di responsabilità sanitaria il paziente ha solo l'onere di provare il peggioramento delle proprie condizioni di salute causato dall'intervento del medico, mentre spetta all’odontoiatra dover dimostrare che l'esito negativo non è ascrivibile alla sua negligenza od imperizia. Incombe, infatti, sempre al professionista, che invoca il più ristretto grado di colpa di cui all'art. 2236 c.c., provare che la sua prestazione implicava la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.
20.07.2012 RISARCITO IL DANNO MORALE AI NONNI PER LA PERDITA DEL NIPOTE
TRIBUNALE DI MILANO, 12/11/2010, DOTT. VALENTINI
I nonni del piccolo X convenivano in giudizio un Ospedale milanese chiedendo la condanna al risarcimento dei danni subiti in seguito alla morte del nipote. Accertata la responsabilità dell'Istituto, il Tribunale di Milano ha accolto la domanda precisando che la risarcibilità del danno morale di un congiunto presuppone non soltanto il rapporto di parentela, ma anche la perdita concreta di un valido sostegno morale e di uno stretto vincolo affettivo, elementi maggiormente richiesti quando sono i nonni a chiedere il risarcimento.
15.07.2012 RITARDO O ERRATA DIAGNOSI: RISARCITO IL DANNO DA PERDITA DI CHANCE
TRIBUNALE DI BOLOGNA, 4/4/2012, DOTT. M. MARULLI
Il Tribunale di Bologna ha accolto la domanda della moglie e della figlia del Signor PP, condannando la struttura sanitaria che lo aveva avuto in cura al risarcimento dei danni patiti in conseguenza del suo decesso, imputabile al ritardo con cui gli era stata diagnosticata la grave patologia tumorale.
La CTU svolta in corso di causa ha evidenziato l’errore diagnostico compiuto dai sanitari dell’Ospedale bolognese, i quali non avevano valutato adeguatamente il caso, interpretando in modo inappropriato gli importanti indicatori diagnostici emersi dagli esami eseguiti dal paziente, tanto da ritardare la diagnosi tumorale e da esporre anticipatamente il paziente al concreto rischio della morte.
La perdita di chance, ad avviso della giurisprudenza, rende risarcibile anche il danno che il paziente subisce quando, in conseguenza del ritardo di diagnosi, si veda privato della chance di conservare una migliore qualità della vita durante la malattia nonché la chance di vivere alcune settimane od alcuni mesi in più, rispetto a quelli poi effettivamente vissuti.